Sei talmente grande da renderli piccoli, diceva. Da allora ho cominciato a vedere la gente rimpicciolire, colonizzarmi il pancreas, come le formiche nella credenza. Forse è solo la vodka. Pensavo che vendersi gli organi fosse un buon modo per perdere peso. Poi, radere i capelli in segno di lutto.
Trovami trovami trovami sul bordo dei battiscopa. E non è vero che sei bella.
Pagami da bere, passami il sale, passami il sale sulle ferite aperte. Le tue vene ad asciugare sul balcone: le avevi scambiate in lavatrice e il sole aveva scolorito anche tutte le t-shirt, ma non bestemmi piú.
I tuoi polsi ancora cedono, come l’intonaco che viene giú dai palazzi e devono metterci un segnale di pericolo. Vi ci appendevi degli elastici, per lasciare i capelli sciolti e avere dighe sulle arterie da costruire. E non avevi paura della speculazione edilizia.
Elastici come lacci emostatici, strisce di Oki.
Non sai neanche quanto costa l’Eptadone.
Hai deciso che sono la Gestapo, le Brigate Rosse, l’OVRA, le SS, la P2. Mentre io vorrei fare con te quello che la Primavera di Praga fa con i cecoslovacchi.
Non capireste mai, voi che non guardate i prezzi al discount, quanto costano dieci ore di viaggio, come si suicidano i soldi nella droga, i giovanissimi contro i guardrail, i giovani nei partiti, gli adulti nella busta paga.
Lei lo sa degli apostrofi prima delle parole? E lo capisce il tempo sincopato del malumore?
Forse necessitavo solo di mani piú grandi.
Saltare i titoli di coda è il coito interrotto della cinematografia, per questo te li recito a memoria. Il mio personalissimo modo di pregar(ti).
Non sai neanche quanto costa un biglietto.
Dimenticavamo di tenere traccia delle mestruazioni e delle mie guerre nucleari, lasciando vincere le pale eoliche contro le quali combattevi tu. Che schifo cadere in una guerra ecosostenibile e non odiarti, e volermi tanto male da dispiacermene.
Non sai neanche quanto costa la decolonizzazione.
Che schifo, ma non me ne importa, tanto pioveva già prima e non saprai mai quanto mi sono bagnata.