Sunset

«Benvenuta a Retalhuleu, signora Toniolo!»
Non sono qui per fermarmi a Retalhuleu e non sono nemmeno una signora. Non so quale parte del saluto rivomitare addosso a questo bamboccio in divisa, che sembra avere la metà dei miei anni. Parolacce, solo parolacce. Non va bene, meglio se resto zitta.
Raccolgo documenti e bagagli e mi dirigo verso l’uscita dell’aeroporto. Una porta a vetri mi separa dal clima quindici gradi più caldo e venti percento più umido rispetto all’aria condizionata del terminal. Raccolgo le forze e faccio l’ultimo passo nella civiltà occidentale.
Eccomi in Guatemala. Anche se ho raccolto i capelli lunghi e indossato il vestito leggero, un rivolo di sudore si forma immediatamente sulla schiena e mi scorre dritto negli slip, aumentando il disagio accumulato durante il lungo viaggio. Eppure non mi importa. Manca solo la ciliegina sulla torta, la sto aspettando. So già che ha la forma di un indio basso e sovrappeso, caricatura di un charro messicano che, da queste parti, risalta come un tirolese a Capri.
«Signorina Mara, sono qui!» José sventola il sombrero mentre attraversa la strada. Non è solo: si è portato Pepita, la figlia minore ormai diciottenne. Lei è poco più di un metro e sessanta, ma vicino al padre sembra quasi alta. Ha il viso indio ma il fisico latino, evidenziato dalla canottiera corallo, con una stampa bianca nei posti tattici, e gli hot pants neri. Viene il dubbio che la mamma si sia data da fare con qualche turista una ventina d’anni fa. Per lo meno, io la domanda me la sono sempre posta; qualche volta ho pure provato a fare una battuta in presenza di mio padre e mio fratello, ma quelli non sono interessati ai pettegolezzi. A meno che non portino guadagno, ovviamente, e questo non ne porta di sicuro.
«Ciao Mara!» Pepita mi abbraccia con trasporto. Abbandono le valigie nelle mani di José e ricambio. Ci incamminiamo verso l’auto restando abbracciate.
«Tesoro! Come stai? Sei sempre più bella. Ormai sei quasi una donna fatta.»
Arrossisce. «Grazie. Anche tu sei splendida. Si vede che ti stai per sposare.»
«Già. Avrei tante di quelle cose da fare, a proposito. E invece sono qua.»
«Dai, raccontami.»
Mi guarda con aria sognante mentre parlo dell’organizzazione del matrimonio, della villa per il ricevimento, dei particolari sui fiori in chiesa e i centrotavola al ristorante. Le faccio vedere un po’ di foto mentre viaggiamo verso casa. Le illustro come verrà disposto tutto e lei condivide la mia eccitazione.
«E il vestito?»
«Guarda.» Parlo piano per non farmi sentire da José. Faccio scorrere le immagini sullo smartphone: prima il modello, poi le volte che l’ho indossato, infine le spiego le modifiche che ho chiesto.
«E Andrea?»
La guardo di traverso. «In che senso, “e Andrea”? Lo sposo è solo uno dei tanti accessori del matrimonio, non lo sapevi? Farò in modo che sia abbinato ai centrotavola, così non mi rovina la cerimonia.» Ridiamo.
Arriviamo a Costazul all’ora del tramonto. Tutta la costa del Pacifico è illuminata dal sole, è un panorama che amo e che mi fa dimenticare tutto, compreso il motivo per cui sono qui in questi giorni. Mi fermo a guardare lo spettacolo, insieme a Pepita, in silenzio. Finché non è ora di entrare finalmente in casa.
La videochiamata con Andrea è breve, un po’ perché la connessione qui lascia a desiderare e un po’ perché in Italia la mezzanotte è già passata; fa appena in tempo a dirmi “Sta’ attenta”, poi mettiamo giù.
Più lunga, invece, la telefonata con papà, che non perde l’occasione per ricordarmi, ancora una volta, il motivo per cui mi ha spedita qui in Guatemala a meno di un mese dalle nozze. Infine chiude con: «Quando sei a Costazul sei un’altra persona; soprattutto ti sento felice.» Me lo dice sempre e forse ha ragione, in effetti qui mi sento a casa. Un vero peccato che Andrea sia un avvocato in rapida carriera e non possa mollare l’Italia; altrimenti, davvero, io mi fermerei qui per sempre.

Al mattino tocca alzarmi presto, farmi un’altra doccia e vestirmi pure bene. L’unica cosa che so del signor Benson, che devo incontrare stamattina, è la foto di un piccolo yacht con una figura sfocata a bordo. Andrea è diffidente; non capisco come si possa essere gelosi di una macchia indistinta di colore, eppure è il motivo per cui negli ultimi giorni mi dice sempre “Sta’ attenta”.
Pepita invece è d’accordo con me: sembra uno dei tanti ricconi palestrati che frequentano la Marina a Champerico. La cosa non mi piace: è gente abituata a dare ordini e farsi soddisfare ogni capriccio come se fossero Dei in Terra. Mi aspetta una brutta giornata! Ciononostante mi vesto con un abito turchese in tinta unita, estivo ma dal taglio professionale, sandali con tacco cinque abbinati a una pochette panna. Come acconciatura ho scelto una crocchia, più che altro per tenere il collo fresco; poi braccialetto, orecchini pendenti e girocollo in oro bianco.
Attendo ancora venti minuti e finalmente compare José. Mi porta in città col minivan; ci fanno compagnia la vicina di casa e i figli che scendono in zona mercato comunale, una deviazione che ci prende circa quarto d’ora. Io invece sono diretta in centro. L’ufficio che devo raggiungere è in un palazzo in stile coloniale, con la facciata ridipinta di fresco. La porta d’ingresso è aperta e vengo accolta da un portiere in divisa blu, nero e muscoloso come se ne vedono pochi da queste parti.
«Mara Toniolo; ho un appuntamento con il signor Benson.»
«Prego, si accomodi.» Il portiere mi indica una poltrona nella sala d’attesa. È da stamattina che sono immersa nel ritmo guatemalteco e non mi stupisce di dover attendere altri venti minuti.
Dal corridoio principale si affaccia un uomo latino con la camicia bianca slim fit, che a mala pena ne contiene bicipiti e pettorali. Ha il volto sbarbato e capelli scuri fluenti. Mi guarda le tette.
«Signora Toniolo, scusi se l’ho fatta aspettare. Venga pure.»
«Buongiorno, signor Benson.»
Mi stringe la mano con fermezza e mi fa strada verso il suo ufficio: «Felice di conoscerla.»
«Preferirei saltare i convenevoli,» gli dico. «Sono qui per concludere l’affare e ormai ne conosce i termini. Per la nostra società di famiglia non è un problema di soldi, faccia pure il prezzo che preferisce e siamo pronti a firmare.»
Mi guarda ancora le tette. Sospira, giocherella con la penna e si agita sulla sedia. «Il terreno non è in vendita. Possibile che non riusciate a capire? Davvero non vi siete mai fermati a guardare i tramonti a Costazul?»
Certo, tante volte, e sono stupendi. «Preferirei restare sull’argomento principale, se non le dispiace.»
Gli occhi grigi di Benson mi guardano sempre lì. Lui si agita di nuovo sulla sedia e continua a tormentare la penna. «Senta, facciamo così: troviamoci stasera sul mio terreno a ora di cena. Se riesce a comprendere il valore dello spettacolo che offre la natura a quell’ora, vedrà che mi darà ragione, che non c’è prezzo.»
Fingo di restare impassibile. «E se non mi dovessi commuovere?»
«Si commuoverà.» Prende il preliminare di compravendita, segna una cifra che non riesco a leggere e firma. Poi arrotola il plico e lo mette in un tubo di cartone. «Questo glielo ridò stasera,» dice, puntandomelo guarda caso proprio al petto. «Scommettiamo la cena che non lo rivorrà più indietro?»
Scommessa accettata! Ci mancherebbe pure che mi fermo a cena con un tipo del genere.

Nel pomeriggio mi sono concessa un paio d’ore in spiaggia. Ho bisogno di sentirmi libera da tutto prima dell’incontro di stasera.
«Devo solo fingere che non m’importa nulla, poi prendo il preliminare firmato e l’affare è concluso. Facile no?»
Pepita ride. «Se lo dici tu…»
«Dai, non è la prima volta che devo affrontare un polipo. Ce la farò.»
«Ma ti ha toccata?»
«Eh, la mano lunga ce l’ha.»
«Che porco!»
«Avrei dovuto dirgli anche: “Bello: vedi che gli occhi ce li ho più su!”»
Pepita ride di nuovo. «Ma davvero? Aveva il guarda fisso?»
«Già… Una cosa insopportabile, non staccava mai gli occhi!»
«Eh, lo capisco.»
«In che senso?» Mi giro verso di lei.
Arrossisce. «No, dicevo: ti capisco. Anch’io a volte vorrei non avere le tette, quando i ragazzi mi guardano sempre lì.»
«Eh, li capisco.»
Mi guarda con sospetto; poi si rende conto che l’ho presa in giro e ci mettiamo a ridere. Alla fine mi dice: «Insomma stasera vai all’appuntamento con un porco per soffiargli un terreno in riva al mare?»
«Detta così, in effetti, non è bellissima. Però è la verità.»
«Sta’ attenta.»
«È quello che mi dice sempre Andrea.»
«Scusa; non volevo…»
«Tranquilla. Se me lo dici tu va bene.»
«Ok.»

Arrivo al chiringuito che manca ancora mezz’ora al tramonto. Sono vestita in modo informale, ma non troppo da spiaggia. Anzi, per nulla: potrei essere pronta per andare a fare un giro dei locali in città. Ho scelto un vestito sabbia con la cintura bianca, borsetta abbinata e sandali beige. Reggiseno rinforzato, per attirare l’attenzione del signor guarda fisso e, allo stesso tempo, evitare inutili fastidi, dovesse fare la mano morta in modo troppo audace. Come acconciatura una coda di cavallo. Niente braccialetti, ma non ho rinunciato ai pendenti e al girocollo, questa volta di bigiotteria. Mi pento della scelta, perché forse mi si è scatenata una reazione allergica. Vorrei tanto grattarmi sotto il collo, ma cerco di resistere alla tentazione e mi limito a massaggiare la zona irritata.
Il signor Benson è già lì che mi aspetta, lui sì vestito da spiaggia: bermuda sahariani a vita bassa e maglia nera corta, che scoprono in modo volgare gli addominali scolpiti.
«Buonasera, signorina Toniolo.» Si alza e mi tende la mano. Gli porgo la mia e me la stringe con fermezza; gli occhi me li ha già infilati nella scollatura, mentre la mano sinistra si appoggia al fianco per invitarmi a sedere. «Prende un drink?»
«Un margarita con lime, grazie.»
«È pronta a vedere lo spettacolo più bello del mondo?»
Sì, peccato per la compagnia. «Vediamo, sono curiosa.»
«Tra meno di mezz’ora qui sarà tutto rosso fuoco…» si dilunga in descrizioni enfatiche di un fenomeno che conosco già benissimo. Fingo di sorseggiare il margarita mentre assaporo volentieri le tapas di frutti di mare che l’accompagnano.
«Venga.» Alla fine si è alzato in piedi. In mano ha i nostri drink e mi invita a seguirlo. Prendo il bicchiere e mi alzo, il signor Benson fa il polipo per un attimo e poi ci incamminiamo. Ho i sandali che affondano nella sabbia e desidero tanto toglierli, ma non voglio dargli questa soddisfazione.
Alle nostre spalle la musica del chiringuito; davanti a noi lo spettacolo del sole che si allinea alla costa e, con un gioco di luci e di ombre, crea una magia di colori tra l’oceano, il bosco vicino e le scogliere in lontananza. Ogni volta resto senza fiato. Anche stavolta abbasso le difese e mi dimentico di tutto: assaggio il margarita e mi gratto delicatamente la base del collo. Poi mi ricordo che ho una missione da compiere e fingo di rimanere impassibile. La mano fastidiosa del signor Benson mi aiuta a distrarmi e dissimulare l’interesse. Mi giro per evitare il contatto e lo guardo negli occhi grigi. «Allora?»
«Posso chiamarti Mara?»
«Preferisco di no.»
«Possibile che tutto questo ti lasci indifferente? Io mi sento salire un fuoco dentro, non lo senti anche tu?»
No, non lo sento. Soprattutto non lo sento con te, che riesci a smorzare qualunque scintilla con i tuoi modi da bambino viziato. Vorrei qualcun altro qui, vicino a me, in questo momento. Qualcuno che…
Mi stringe e tenta di baciarmi. Non capisco per quale motivo abbia interpretato il mio silenzio per una disponibilità che non dimostro. Istintivamente gli rovescio in faccia il margarita e molla la presa. «Mi scusi, signor Benson. Ci dev’essere un equivoco. Io sono qui per concludere un affare. Ha con sé il documento firmato, per favore?»
Non so se è stata la tequila, il lime o il sale, ma il mio interlocutore ha un occhio irritato e sta lacrimando abbondantemente. «Brutta cagna, io…» Ho paura. Ora caricherà il braccio per spingermi o colpirmi e mi immagino già a terra.
«Eccolo!» La voce di Pepita interrompe bruscamente la minaccia. Ha una camicia fantasia annodata sopra l’ombelico e una minigonna cobalto a vita bassa che attirano l’attenzione dell’energumeno e sviano la sua volontà di attaccarmi. Ma soprattutto tiene in mano il tubo di cartone che avevo visto in ufficio questa mattina.
«Dammelo! Ladra…»
«Signor Benson,» lo interrompo, «per la precisione, il tramonto mi ha lasciata indifferente. Siamo persone d’affari e, soprattutto, di parola. Credo proprio che questo documento non sia stato rubato, come lei sostiene, ma che invece mi appartenga, come promesso. Ha qualcosa da obiettare?»
«Siete delle cagne, ve la farò pagare!»
Gli porgo il tubo. «Ecco la sua occasione. Può farcela pagare subito, rompendo la parola data e prendendosi la sua rivincita. Oppure può mantenere la parola e lasciarci in pace per sempre. Scelga.»
Massaggiandosi l’occhio irritato se ne va. Biascica qualcosa, probabilmente un altro “cagne” o qualcosa di peggio. Io e Pepita restiamo a guardare la scena di lui che si allontana, mentre alle nostre spalle potrebbe esserci uno dei più bei tramonti di Costazul. Abbracciate, ci dirigiamo verso le luci del chiringuito.
«Grazie che sei venuta.»
«Non potevo lasciarti da sola con quel porco. Ti avrebbe pure menata.»
«Già.» Poi le chiedo, indicando il tubo: «Dove l’hai trovato?»
«Era in bella vista nel suo fuoristrada, è stato facile.»
«Come facevi a sapere che era il suo?»
«Era l’unica auto di lusso nei dintorni, per forza!» Ci mettiamo a ridere. Poi aggiunge: «Comunque hai rischiato grosso: e se avesse preso il tubo?»
«Era vuoto.» Mi guarda con sospetto. «Mica sono scema! Prima di porgerglielo ho aperto il tappo e ho lasciato cadere il preliminare sulla sabbia. Tra l’occhio irritato e il crepuscolo non se n’è nemmeno accorto.» Ridiamo di nuovo.
Ordino due margarita al barista. Mi giro. Pepita sta tremando, poi mi mette le braccia al collo e mi bacia. Magari è un attimo eppure mi sembra un’eternità. Non me l’aspettavo, o sì? Forse l’ho sempre saputo. Resto incantata e lei si siede, rossissima in viso, con lo sguardo basso e mordicchiandosi il labbro.
«Mara, scusami. Io… adesso che tutto è finito tornerai in Italia e sposerai Andrea. Era la mia ultima occasione per dirtelo. Perdonami, è stata una cavolata. Non odiarmi, ti prego!» Tira su con il naso.
Sono sconvolta, ma in un modo diverso da… Cosa mi sta succedendo? Non riesco a convincermi che sia tutto sbagliato. La voce di papà mi rimbomba in testa: “Mara, quando sei a Costazul sei un’altra persona. Va’ là e cerca di scoprire te stessa. Ricordati che ti amo, qualunque cosa succederà.” Possibile che…?
Non ho idea di cosa Pepita stia pensando del mio silenzio, mentre alcune lacrime le cadono sulla gonna. Le prendo le mani, tremano ancora. Lei solleva la testa e mi guarda con gli occhi congestionati, mordendosi sempre il labbro. La abbraccio, senza avere il coraggio di aprir bocca.
I nostri margarita restano sul banco. Ho bisogno di stare lontana dalla folla, abbiamo bisogno di stare da sole. Camminiamo abbracciate e in silenzio. So che tocca a me parlare e non so cosa dire. Rivedo la mia vita come in un film e comincio a capire tante cose: da bambina, da adolescente, da ragazza e adesso da donna. La verità è sempre stata sotto ai miei occhi e non l’avevo mai vista. Io no, almeno, ma chi mi ama veramente aveva capito, addirittura prima di me.
Siamo lontane dal chiringuito, a pochi passi da casa. Mi giro, le accarezzo il viso e i capelli. Prendo coraggio e la bacio. Prima la bocca, poi socchiudo le labbra e le nostre lingue si incontrano. Lei ha il fuoco dentro, ha la passione dei diciotto anni e, soprattutto, di chi ha già capito e accettato la propria sessualità. Io no. Mi sembra di baciare per la prima volta. È come scoprire emozioni che non sapevo riconoscere dentro di me. Ho ventisei anni e mi sento imbranata come una ragazzina. Pepita mi guida in questo viaggio alla scoperta di me stessa; adesso è lei che ha ventisei anni e io ne ho diciotto. Mi sento confusa, eppure le sensazioni al basso ventre mi dicono che… Accidenti al reggiseno rinforzato, adesso vorrei sentire le sue mani calde e ardenti di passione, invece è solo una sensazione così lontana!
«Pepita.»
«Tutto bene?»
«Sì… andiamo in camera, per favore.»
«Vuoi che smetto?»
«No… voglio dire: andiamo in camera insieme. Nella stessa camera.»
Un brivido la percorre. Sorride e le luccicano gli occhi.
«Solo una cosa,» aggiungo.
«Dimmi.»
«Va’ piano. Io…»
«Ok. Vado piano.»
«Non in quel senso!» Mi affretto a baciarla una, due volte. «Solo, non chiedermi se ti amo, ecco. Non sono ancora…»
«Shh! Ho capito.» Mi zittisce con un dito e con le sue labbra. Poi sorride. Io tremo. Mi tira per il braccio e non oppongo resistenza, mentre la porta di casa si chiude alle mie spalle.

Sunsetultima modifica: 2018-12-04T15:26:07+01:00da dem0neyes
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